lunedì 22 ottobre 2012

                                                                                                                                                         
Il volto di Dante                                                                                                                         English

"Il suo volto fu lungo e il suo naso aquilino e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso" (G. Boccaccio)





  
 Oh abbondante grazia ond' io presunsi
ficcar lo viso per la luce etterna,
tanto che la veduta vi consunsi!
Pa XXXIII, 84


La Divina Commedia

Il volto di Dante celato nello sfondo permette di chiarire un altro interesssante dettaglio del dipinto.
Leonardo richiama i versi di una famosa terzina e gioca con i significati della parola velame:
li versi strani (i tre libri della Commedia: Inferno, Purgatorio, Paradiso) sotto il velo... della Gioconda




 O voi ch'avete li 'ntelletti sani,
mirate la dottrina che s'asconde
sotto 'l velame de li versi strani.

Inf. IX, 63   

Il numero di Beatrice  

Il più semplice dettaglio che testimonia il legame tra la Gioconda e Beatrice è dato dalle mani: nove sono le dita visibili e nove è il numero di Beatrice.


 

  
questo numero fue amico di lei per dare ad intendere che ne la sua generazione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente s'aveano insieme.
 … ma più sottilmente pensando, e secondo la infallibile veritade, questo numero fue ella medesima… questa donna fue accompagnata da questo numero del nove a dare ad intendere ch'ella era uno nove, cioè uno miracolo… (Vita Nuova,  XXIX, 2-3)

 La luce dei suoi occhi

Il nome attribuito al dipinto può avere una origine diversa da quel che si crede e rimandare a Beatrice.
In due punti della Commedia la luce dei suoi occhi brilla GIOCONDA. 


«Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle;
pria che Beatrice discendesse al mondo,
fummo ordinate a lei per sue ancelle.
  

Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo
lume ch'è dentro aguzzeranno i tuoi
le tre di là, che miran più profondo».



Pg XXXI, 111 

e vidi le sue luci tanto mere,
tanto gioconde, che la sua sembianza
vinceva li altri e l'ultimo solere.    
Pa XVIII, 57

Lo dolce riso di Beatrice

"Ma ora è inevitabile che io desista dal voler seguire ancora la sua bellezza con i miei versi, come un artista che sia giunto al limite estremo delle sue possibilità. Io lascio la sua bellezza a una descrizione migliore di quello che potrebbe la mia poesia..."  Così Dante nei versi qui sotto riportati. Leonardo si confronta con questa sfida dipingendo la Gioconda. 


 La bellezza ch'io vidi si trasmoda
non pur di là da noi, ma certo io credo
che solo il suo fattor tutta la goda.

Da questo passo vinto mi concedo
più che già mai da punto di suo tema
soprato fosse comico o tragedo:

ché, come sole in viso che più trema,
così lo rimembrar del dolce riso
la mente mia da me medesmo scema.

Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso
in questa vita, infino a questa vista,
non m'è il seguire al mio cantar preciso;

ma or convien che mio seguir desista
più dietro a sua bellezza, poetando,
come a l'ultimo suo ciascuno artista.

Cotal qual io lascio a maggior bando
che quel de la mia tuba, che deduce
l'ardua sua matera terminando... 
  
Pa XXX,36


L'ultimo sorriso  di Beatrice 

Il dipinto è la trasposizione in forma pittorica dei versi di Pa XXXI. Beatrice non è più al fianco di Dante, ora è seduta in trono tra i beati. Al suo posto come ultima guida è Bernardo di Chiaravalle. Dante rivolge a Beatrice una commossa preghiera di ringraziamento. Lei lo guarda, gli sorride e torna a rivolgersi a Dio.    


E «Ov' è ella?», sùbito diss' io.  
Ond' elli: «A terminar lo tuo disiro
mosse Beatrice me del loco mio;  

e se riguardi sù nel terzo giro   
dal sommo grado, tu la rivedrai   
nel trono che suoi merti le sortiro».

Sanza risponder, li occhi sù levai,
e vidi lei che si facea corona  
reflettendo da sé li etterni rai…

«O donna in cui la mia speranza vige,  
e che soffristi per la mia salute  
in inferno lasciar le tue vestige,

di tante cose quant' i' ho vedute,  
dal tuo podere e da la tua bontate
riconosco la grazia e la virtute.  
Tu m'hai di servo tratto a libertate   
per tutte quelle vie, per tutt' i modi
che di ciò fare avei la potestate.

La tua magnificenza in me custodi,  
sì che l'anima mia, che fatt' hai sana,
piacente a te dal corpo si disnodi».



Così orai; e quella, sì lontana 
come parea, sorrise e riguardommi,
poi si tornò a l'etterna fontana. 

Pa XXXI, 93


Il volto di Dante celato nel dipinto ci rivela che il sorriso della Gioconda è anche il sorriso di Beatrice.
Il segreto che si cela dietro a quel sorriso è lo stesso che s'asconde sotto 'l velame de li versi strani.
Un segreto che conduce oltre le Colonne d'Ercole verso la terra dell'estremo Nord, l'Ultima Tule, l'Islanda. 


Il folle volo di Ulisse e l'alto volo di Dante verso l'Islanda 

Nella Commedia il viaggio di Ulisse oltre le Colonne d’Ercole verso l’isola dell’Eden è definito “folle volo”.
Il viaggio di Dante verso la stessa meta è invece “alto volo” (ch'a l'alto volo ti vestì le piume - Pa XV, 54). Diverso è l’esito dei due viaggi perché diverse sono le rotte seguite oltre le Colonne d’Ercole. Folle la scelta di Ulisse che sempre acquistando dal lato mancino vira a Sud. Leonardo si attiene fedelmente al messagio nascosto nei versi: l'isola dell'Eden, l'Islanda, si raggiunge oltrepassando le Colonne d'Ercole e dirigendosi poi verso Nord. Nel dipinto del Louvre sono visibili solo le basi delle colonne.



Io e ' compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov' Ercule segnò li suoi riguardi
acciò che l'uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l'altra già m'avea lasciata Setta….
e volta nostra poppa nel mattino,
de' remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.

Inf. XXVI, 126

Dedalo e Icaro, altro volo e altre penne 



L'espressione de' remi facemmo ali cela un rimando classico: remigium alarum (Aen. VI, 19). Questo rimando ci permette di individuare un parallelismo tra il folle volo di Ulisse e quello di Icaro, tra l'alto volo di Dante e quello di Dedalo. Icaro si avvicina al Sole, Ulisse vira a Sud e quindi si muove anche lui verso il Sole. Mala via è definita da Dante la direzione scelta da Icaro e mancino il lato scelto da Ulisse. Dedalo si affida al cielo con rapide penne e si dirige verso le gelide Orse, le costellazioni del Nord, la giusta direzione anche per l'alto volo di Dante verso l'Islanda.
Dedalo, come è fama, fuggendo i regni minoici,
osando affidarsi al cielo con rapide penne,
navigò per l'insolita strada verso le gelide Orse
e leggero si fermò finalmente sulle rocche calcidiche.
Dapprima restituito a queste terre consacrò a te, Febo,
l'alato remeggio e fondò templi giganteschi.
 
 
Eneide VI, 19
né quando Icaro misero le reni
sentì spennar per la scaldata cera,
gridando il padre a lui «Mala via tieni 
Inf. XVII, 111





La Kjölur route, la diritta via...


Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita...


Inf. I, 3

Nel mezzo dell'isola possiamo riconoscere la Kjölur route, l'antica via che va diritta a Nord. Alcuni uomini stanno camminando alla giusta latitudine lungo la Kjölur route. E' la latitudine del punto in cui Dante, accompagnato da Virgilio e Stazio, entra nella divina foresta: 64° 42' 15'' N.
 

 


64° N  Dritta salia la via per entro'l sasso...  65° N

Pg. XXVII, 64


La Kjölur route e il cavallo islandese

Nella stessa immagine proprio sotto gli uomini che camminano lungo la Kjölur Route si può vedere un cavallo che procede con il tipico passo dei cavalli islandesi, il tölt. 




Lo Jökulfall, il fiume Lete della Commedia 

Dal punto di ingresso nella divina foresta Dante, Virgilio e Stazio procedendo verso Est incontrano il fiume Lete. Risalendo il suo corso Dante raggiunge la fontana da cui sgorga alla confluenza con il fiume Eunoè. Alla latitudine del punto di ingresso nella divina foresta procedendo verso Est si incontra il fiume Jökulfall e, risalendo il suo corso sino alla confluenza con il fiume Blákvísl, la cascata di Gýgjarfoss.


 



L'acqua che vedi non surge di vena    
che ristori vapor che gel converta,
come fiume ch'acquista e perde lena;
                    
ma esce di fontana salda e certa, 
che tanto dal voler di Dio riprende,
quant' ella versa da due parti aperta.
Pg. XXVIII, 126

L'imperatore Giustiniano, l'aquila e Belisario

La cavità nella roccia della montagna dalla quale sgorga l'acqua del fiume a formare la cascata è anche parte di un'altra immagine: diventa il manto sulle spalle dell'imperatore Giustiniano. Come i versi della Commedia hanno più significati così le immagini nel dipinto si sovrappongono. Gustiniano viene rappresentato con la corona in testa e un'aquila sulla mano. Totale è l'aderenza alla lettera del testo di Paradiso VI:  il potere imperiale è finalmente giunto in mano a Giustiniano. Si noti come la piccola aquila in mano a Giustiniano diventi l'occhio della testa di un'aquila più grande e come parte di questa diventi la barba di un guerriero che indossa un elmo con nasale, il generale Belisario.





«Poscia che Costantin l'aquila volse
contr' al corso del ciel, ch'ella seguio
dietro a l'antico che Lavina tolse,

cento e cent' anni e più l'uccel di Dio
e lo stremo d'Europa si ritenne,
vicino a' monti de' quai prima uscìo;

e sotto l'ombra de le sacre penne
governò 'l mondo lì di mano in mano,
e, sì cangiando, in su la mia pervenne.

Cesare fui e son Iustinïano...
e al mio Belisar commendai l'armi...

Pa VI, 25

Ganimede

Giustiniano e l'Aquila sono elementi fondamentali del messaggio codificato nella Divina Commedia. Altrettanto fondamentale è la figura di Ganimede richiamata nel sogno dell'aquila di Purgatorio IX. Leonardo rappresenta Ganimede nel sommo concistoro del Monte Olimpo nella sua mansione di coppiere degli dei intento a versare nettare da una brocca.





in sogno mi parea veder sospesa
un'aguglia nel ciel con penne d'oro,
con l'ali aperte e a calare intesa;
ed esser mi parea là dove fuoro 
abbandonati i suoi da Ganimede,
quando fu ratto al sommo consistoro.
Pg IX, 24

Leonardo e la Divina Commedia
La relazione tra la pittura di Leonardo e la Divina Commedia è testimoniata in modo evidente dal dipinto e dal cartone che hanno per soggetto Sant'Anna, la Vergine e il Bambino. Anna contenta di ammirare la figlia Maria non distoglie lo sguardo da lei...

 

Di contr' a Pietro vedi sedere Anna,   
tanto contenta di mirar sua figlia,  
che non move occhio per cantare osanna.

Pa XXXII, 135 

I richiami puntuali alle terzine della Commedia nella Gioconda sono quasi una trentina. Si tratta delle terzine più significative per la comprensione del messaggio codificato nel poema che porta ad individuare una precisa posizione nel centro Islanda, dove molto probabilmente qualcosa di estremamente importante è stato occultato e attende di essere riportato alla luce.       

Giancarlo Gianazza 

La ricerca in Islanda  e per saperne di più:  1 - 2 - 3 - 4